giovedì 20 maggio 2010

La nuova migrazione

A migrare non sono gli uccelli alla ricerca del clima mite delle nuove oasi, sono le valige colme di speranze per ciò che la loro terra non offre più, vuoi perché arida ed incolta, vuoi perché l'accesso alla parte rigogliosa non è concessa a tutti. Vedo, sento, leggo, tocco con mano le più disparate spiegazioni, dopo gli studi, anche questi in molti casi effettuati lontano da casa, il lavoro si sposta sempre più su, chiamiamolo cosi per non ghettizzare il Nord, il fenomeno pare tornato al livello degli anni 60/70, e darne una spiegazione è complicato.
Il territorio del centro-sud è storicamente poco incline ad offrire occasioni, da un lato le criminalità organizzate ne traggono inevitabili vantaggi potendo contare su manodopera disperata e senza sbocchi, dall'altra le istituzioni nel loro complesso non aiutano. Poi non tralascerei quell'atavica cultura del rimanere vicino alle famiglie, come gli apostrofati "mammoni/e", a discapito di eventuali opportunità lontane. Nel marasma, la crisi economica ha fornito altri elementi di insicurezza, che non penso si spegneranno nel breve periodo, ma è proprio così o c'è dell'altro?
Cominciamo dal basso, la crisi fa comodo a qualcuno, ad esempio per allargare sempre più il gap tra ricchezza/potere e le masse, creando delle vere e proprie caste? I giovani sono attaccati alle gonnelle della mamma, oppure andare lontano con prospettive economiche di 1000/1500 euro, per poi doverne impegnare una gran fetta per vitto e alloggio e non aver possibilità di crescita è una ipotesi più plausibile? Le istituzioni vogliono realmente distruggere la criminalità, o vogliono banchettare con loro?
Stiamo migrando, non per il solo posto di lavoro, ma per la sopravvivenza del genere umano.

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